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Riforma della Disabilità - Progetto di Vita.

12/05/2025 15:20

Eleonora Angeli

ARTICOLI, Consolida, Cooperativa Impronte, Rovereto, disabilità, co-housing, autonomia, lavoro, Fondazione Franco Demarchi, ,

Riforma della Disabilità - Progetto di Vita.

Il coraggio di cambiare sguardo

 

Il 9 maggio 2025 ho avuto il piacere di partecipare a Rovereto all’evento di presentazione della Riforma della Disabilità – Progetto di Vita. È stato un momento intenso e partecipato, in cui voci diverse si sono alternate con un obiettivo comune: restituire centralità e dignità alla persona con disabilità. A introdurre e moderare l’incontro è stata Francesca Gennai, che ha annunciato con entusiasmo l’avvio della sperimentazione in venti territori italiani, incluso il nostro.

 

Per me non è stato solo un evento istituzionale, ma un’esperienza personale profonda. Dopo anni nell’azienda sanitaria, tre in assessorato e oggi in Consiglio Provinciale, porto con me un bagaglio di oltre vent’anni nel settore sociosanitario. Il mio primo master sull’integrazione risale a 23 anni fa. E se ho imparato qualcosa, è che sapere cosa significhi integrazione sociosanitaria non basta: va vissuta quotidianamente, tra complessità strutturali e responsabilità politiche.

 

Questa riforma mi entusiasma perché mette finalmente la persona al centro, ribaltando la logica del bisogno per costruire attorno al desiderio. Non si tratta solo di una revisione normativa, ma di una sfida culturale collettiva. Come ha evidenziato la ministra Alessandra Locatelli, il nostro sistema è ancora troppo frammentato e va superata l’idea che sociale, sanitario, educativo e culturale siano compartimenti stagni. Il Progetto di Vita si basa su un approccio integrato, dinamico e partecipato.

Tra i contributi emersi, il professor Gianluca Esposito, direttore del Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive dell’Università di Trento, ha indicato il benessere psicofisico come orizzonte, richiamando il progetto di co-housing in sviluppo presso il suo dipartimento. Ornella Dossi, rappresentante del CDA Mart, ha invece posto il tema dell’accessibilità culturale, auspicando una vera democrazia dell’arte, in cui siano le persone stesse a prendere la parola.

Le parole sono importanti. Servono per comunicare, costruire relazioni, immaginare società inclusive. Ma non bastano, se non sono accompagnate da azioni concrete. In questo contesto, è fondamentale la partecipazione diretta delle persone con disabilità. L’ascolto autentico è il primo passo: senza di esso, anche i migliori modelli rischiano di allontanarsi dalla realtà.

In questi mesi ho imparato più ascoltando le famiglie e le persone con disabilità che in anni di lavoro. Ho incontrato giovani con diagnosi di “totale inabilità” che, se adeguatamente accompagnati, possono e vogliono contribuire. Abbiamo bisogno di una società che accolga queste possibilità, che superi gli stereotipi e apra spazi concreti di inclusione.

Il Progetto di Vita si basa su un budget flessibile e aggiornabile, costruito insieme alla comunità, in cui la persona può contribuire con risorse proprie e scegliere, se lo desidera, di autogestirlo. È un’innovazione radicale, perché non si limita a offrire servizi, ma prova a costruire un percorso personalizzato.

 

L’assessore Mario Tonina ha sottolineato il bisogno di strumenti nuovi e di una rete territoriale solida, con un terzo settore protagonista. Il Trentino non deve limitarsi ad adeguarsi: deve essere guida in questo cambiamento. Il linguaggio diventa cruciale: troppo spesso, le parole riflettono un pensiero centrato sulla disabilità come limite. Cambiare linguaggio significa cambiare visione, e quindi cambiare la società.

Filippo Simeoni presidente della Cooperativa Impronte di Rovereto e Lorenzo Minacapelli  , ci hanno dimostrato che è possibile coniugare autonomia, lavoro e relazioni. La disabilità non rappresenta la fine, ma l’inizio di una possibilità diversa. Giovanni Merlo, direttore di LEDHA Lombardia, ha ricordato che in Italia spesso si fanno progetti d’intervento, non di vita. Ma è proprio di vita che dobbiamo occuparci.

 

Roberto Cazzanelli, genitore, ha raccontato i rischi di una relazione iperprotettiva che può generare dipendenza reciproca. Serve trovare un equilibrio tra supporto e autodeterminazione, per promuovere percorsi strutturati che valorizzino le buone prassi. Dobbiamo passare dalla dipendenza all’interdipendenza, fino all’autodeterminazione. Serve coraggio.

Nel pomeriggio, sotto il coordinamento di Sabrina Berlanda e Alba Civilleri, ricercatrici della Fondazione Franco Demarchi, si è sviluppata una riflessione collettiva sul significato profondo del progetto di vita. È emersa con forza un’idea semplice ma rivoluzionaria: superare la diagnosi per lasciare spazio al desiderio. Al centro, la co-progettazione come percorso condiviso tra persone, famiglie, professionisti e comunità, in cui tutti siano protagonisti attivi del cambiamento.

In questo quadro si è inserito l’intervento del professor Roberto Franchini dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, che ha criticato l’idea — spesso implicita — di poter progettare la vita degli altri. Ha proposto di superare il concetto di gate assessment per passare a un news assessment, che fondi realmente la progettazione esistenziale. Il paradigma va spostato dal binomio problema-soluzione a un approccio centrato sulla felicità, autonomia, appartenenza e benessere.

Il contributo di Marco Bollani, direttore della cooperativa Come NOI, ha portato una visione operativa. Ha sottolineato l’importanza di valorizzare le risorse esistenti, analizzare le condizioni abilitanti che rendono possibili esperienze significative e costruire sistemi collaborativi stabili. Ha rimarcato la necessità di chiarire i ruoli previsti dal decreto 62, rafforzare relazioni basate su fiducia e responsabilità condivisa, e integrare i servizi esistenti in un modello più orientato all’esistenzialista, superando strutture come i centri diurni separati.

 

Bollani ha insistito sulla necessità di risintonizzare i servizi verso un welfare personalizzato e inclusivo, capace di affrontare contesti ancora troppo rigidi e frammentati. Ha richiamato l’esperienza della pandemia da Covid-19, che ha generato modelli più flessibili, inclusivi e prossimi ai bisogni reali. Alcune innovazioni nate in quel periodo hanno resistito al tempo, dimostrando che il cambiamento è possibile.

 

Infine, ha affrontato il tema della portabilità del progetto di vita, richiamando l’attenzione sulla necessità di evitare semplificazioni pericolose. Ogni intervento deve essere coerente con il percorso personale e collettivo della persona.

 

Concludo con una riflessione che porto nel cuore: questa riforma ci chiede di metterci l’anima. Non bastano percorsi tecnici o buone intenzioni. Dobbiamo esserci, con la testa e con il cuore. Perché ogni persona, ogni comunità, ogni territorio ha diritto a un progetto di vita che sia davvero suo.

 

www.impronte.tn.it

www.conoslida.it

www.fdmarchi.it

 

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